giochi psicologici

Giochi psicologici e Arte Introspettiva

D: Si parla qui di giochi psicologici. Sono giochi divertenti?

quadro di arte introspettiva osservato dal punto di vista artistico introspettivo

I giochi psicologici (trattati anche dalla psicologia e, in particolare, dall’analisi transazionale) sono degli ami che si offrono, che si lanciano verso gli altri.

Naturalmente sono delle richieste telepatiche.
Il gioco è un’offerta, un richiamo, un’esca per un incontro/scontro.

Per definizione, il gioco è un qualcosa che diverte, di spassoso, un lazzo e se qualcosa piace si cerca di prolungarla e di ripeterla appena si può.

Questo vale sia per i giochi psicologici che per quelli prettamente ludici.
Quando si è piccoli si gioca per imparare.

Da adulti si gioca per rilassarsi.

Da vecchi si torna a giocare con i bambini.
Il gioco ci rallegra, ci aiuta a fraternizzare e siamo ben disposti verso le persone che stanno giocando e, a volte, vorremmo partecipare anche noi.
Per quanto riguarda i giochi psicologici però, il più delle volte non ci accorgiamo di giocare o, per essere più precisi, ce lo nascondiamo.

Eppure lo stiamo facendo o meglio, lo fanno alcune parti di noi (o sub-personalità, secondo la psicologia) che hanno preso il sopravvento.

Quando giochiamo?

In fondo tutto quello che facciamo è un gioco perché siamo noi a programmarlo.

Si potrebbe tranquillamente affermare che ogni nostro rapporto con gli altri è basato su un qualche gioco, tranne, forse, il buongiorno che auguro a un passante occasionale.

Ma che cosa s’intende per gioco psicologico, nello specifico?

04 Parliamo di “giochi di potere”. Come mai scivoliamo nella manipolazione, senza rendercene conto?

Tutte le volte che io provoco delle situazioni che so già, dentro di me, che mi daranno fastidio e che però mi permettono di scatenare delle emozioni, come la rabbia o il sentirmi vittima o la tristezza.

Faccio un esempio: mia madre ha una paura irrazionale dei ragni e riesce a comportarsi come una bambina isterica se solo ne vede uno. Io lo so bene, come tutti in famiglia. Un giorno rientro dal giardino che ho ripulito dalle erbacce e dico: “Santa Paletta, ho visto un ragno sulla pianta di lillà, così grosso che aveva i peli sulle zampe. Mai vista una roba simile…”

Mia madre caccia un urlo: “Piantala di nominare quelle bestie! Lo sai che mi fanno schifo!” Io mi sento offesa dal suo tono brusco e mi arrabbio: “Questo non giustifica il tuo tono offensivo. Puoi parlarmi senza urlare, per favore!”

Quante volte nella nostra giornata ci succedono fatti simili? Ebbene, stiamo giocando, solo che

facciamo finta di non saperlo!

Per quale motivo?

A nessuno piace essere sorpreso col dito nel barattolo della nutella e poi, scoperto il gioco non lo posso più fare!

Così, per non dover rinunciare ai miei, avvallo quelli degli altri e li prendo sul serio.

Il gioco è sempre per favorire un’emozione perché è usato per scatenarle.

In che modo?

Con il gioco, cioè con un atteggiamento, una frase, un ammiccamento… provochiamo delle reazioni emotive negli altri che giustificano così la nostra reazione, sempre emotiva e la giostra del “Tu hai detto e io, allora…” si mette a girare.

Giochi psicologici leggeri

Anche il gioco psicologico può essere divertente e piacevole come una bella partita a carte con amici allegri e creare legami di reciproca simpatia e le risate sgorgano e l’energia è leggera.

Parlo delle scaramucce tra innamorati, delle moine di certe ragazze per avere attenzione e coccole, dei piccoli malintesi per testare l’affetto e l’interesse di chi sta con noi, per farlo preoccupare un poco.

Ma noi siamo esseri curiosi e ci lasciamo facilmente prendere la mano dalle situazioni, anche solo per testare i nostri limiti e il nostro potere sugli altri.

Infatti tutti i giochi, alla fine, sono per avere potere sugli altri e su noi stessi.

E’ un potere energetico, naturalmente, quello di riuscire a coinvolgere l’altro nel nostro gioco e di abbassare la sua energia.

In che modo?

Facendolo arrabbiare, per esempio, o facendogli paura, come io ho fatto con mia madre parlandole del ragno, oppure facendolo preoccupare o sentire in colpa e così via.

Prendiamo per esempio il fare la vittima.

Mia zia è l’incarnazione del lamento: ha sempre una parte del suo corpo che le fa male, tutto le va per il verso storto, i figli non l’aiutano mai abbastanza, ecc.

Se trova qualcuno che s’impietosisce, che la sta ad ascoltare e le crede e si offre di aiutarla e consolarla, è fatta! Il gioco è riuscito e lei si farà servire e riverire.
Va a fondo pagina per continuare a leggere!

Aurora Mazzoldi
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